Palermo 30 giugno 2017 – Sabato 8 luglio la Fillea, la Cgil e l’Anpi ricordano i fatti che sconvolsero Palermo l’8 luglio del 1960 e che costarono la vita, tra gli altri, a due edili palermitani, Andrea Gancitano, di 19 anni, e Francesco Vella, 49 dirigente sindacale della Fillea, uccisi entrambi a colpi d’arma da fuoco. Durante quello che sarebbe dovuto essere uno sciopero pacifico, 4 persone persero la vita, 36 rimasero ferite dai colpi di arma da fuoco, 370 manifestanti furono fermati e 71 arrestati.
Alle ore 8,30 la Cgil in deporrà una corona d’alloro e percorrerà in corteo i punti dove caddero le vittime, nel tragitto tra via Spinuzza (angolo Teatro Massimo), in via Bari e in via Celso, dove i due edili saranno ricordati con una commemorazione . Interverranno il segretario generale Cgil Palermo Enzo Campo, il segretario generale della Fillea Cgil Palermo Francesco Piastra e l’associazione nazionale partigiani di Palermo. “Una giornata che non vuole essere di sola commemorazione. Come allora saremo in corteo, per dimostrare con la presenza del mondo del lavoro che la democrazia va rivendicata e fatta riaffermare ogni giorno – dicono la Fillea e la Cgil in una nota – Anche allora c’era una profonda crisi edilizia, il settore continua a essere in crisi oggi, manca il lavoro, peggiorano per gli edili l’accesso alla pensione e alla previdenza. Gli edili saranno in piazza per ribadire la richiesta di investimenti e per recuperare diritti che si sono persi.
Quel mattino di 57 anni fa, a Palermo, la celere caricò su una folla disarmata che tentò di difendersi lanciando sassi e bastoni di legno contro i colpi di pistole, fucili e mitragliette. Giuseppe Malleo (16 anni) fu il primo ad essere colpito da una pallottola di moschetto al torace, subito dopo Andrea Cangitano (19 anni) fu ucciso a colpi di mitra insieme a Francesco Vella (operaio di 42 anni). Rosa La Barbera fu invece la quarta vittima (53 anni) raggiunta da un colpo di arma da fuoco mentre chiudeva la finestra di casa. Lo sciopero era stato indetto dalla Cgil dopo i fatti di Reggio Emilia, per protestare contro il governo Tambroni, ma soprattutto per reclamare quei diritti che legittimamente spettavano alla classe operaia palermitana e che continuavano ad essere negati per l’arretratezza del Mezzogiorno siciliano e il divario esistente tra nord e sud. Quel giorno si manifestava proprio per ottenere “giustizia” e con la parola d’ordine “uguaglianza” si pretendeva equità salariale in tutta la nazione. Un operaio palermitano prendeva solo il 60 per cento del salario di un genovese, le leggi agrarie che disciplinavano il lavoro agricolo erano inesistenti e le mobilitazioni popolari per rivendicare quanto spettava ad una classe martoriata da anni di privazioni furono represse nel sangue.