Palermo 28 maggio 2024 – Domani, mercoledì 29 maggio, Libera, Cgil e Anpi ricorderanno Salvatore Mineo, vittima di mafia, ucciso a S. Giuseppe Jato il 29 maggio 1920, all’età di 52 anni.
L’appuntamento è alle ore 10,30 al cimitero comunale di San Giuseppe Jato, per un momento di riflessione presso la cappella che ne custodisce i resti. Alle 12, presso l’Istituto professionale di Stato per l’Agricoltura di San Cipirello, Dino Paternostro, responsabile del dipartimento Archivio e memoria storica Cgil Palermo, Pierluigi Basile dell’Anpi e Francesco Citarda di Libera si confronteranno con gli alunni delle classi quinte sul tema delle lotte contadine, di mafia e antimafia e delle prospettive per uno sviluppo del territorio a partire dai beni confiscati.
“Salvatore Mineo – dice Dino Paternostro – era un personaggio che voleva costruire un fronte popolare per contrastare l’arroganza e la protervia delle forze reazionarie e mafiose che allora governavano S. Giuseppe Jato. Lo voleva fare organizzando i lavoratori, costruendo cooperative, denunciando il malaffare. Noi lo vogliamo ricordare, nell’anniversario del suo assassinio, insieme agli studenti del comprensorio che frequentano l’istituto agrario, nella consapevolezza che per conservare e valorizzare la memoria storica è necessario affidarla alle nostre scuole”.
Salvatore Mineo, nato il 19 dicembre 1868, cresciuto in una famiglia benestante dell’epoca, divenne nel 1913 esattore comunale delle tasse, la sua prima carica pubblica. In quell’anno, segnato dall’irruzione delle masse nella vita politica locale e nazionale con l’estensione del suffragio, iniziava il suo percorso di impegno diretto. Guidando il fronte democratico-riformista e la Camera del Lavoro, si affermò come il capo dell’opposizione all’amministrazione in carica. Dal 1914 era iniziata la lunga gestione mafiosa della casa comunale con il sindaco Antonino Puleio, che Mineo sprezzantemente chiamava “Ninu u latru”. Nell’arco di pochi anni, il sindaco Puleio mise in piedi un sistema di potere fatto di violenza, illeciti, affarismo spregiudicato, che si reggeva sull’uso della forza criminale, sul controllo di ogni fonte di ricchezza e sull’omertà imposta grazie alle complicità nelle sfere istituzionali. Mineo non ebbe paura e accusò pubblicamente Puleio e i suoi sodali, li denunciò agli organi di polizia e ai rappresentanti del governo e incoraggiò anche gli altri a fare lo stesso. Inoltre, attraverso una cooperativa, spinse i contadini a unirsi per chiedere le terre in affitto. Puleo e gli altri mafiosi non potevano accettare questi continui attacchi: dovevano zittire questa voce libera. E lo fecero ordinando a due sicari provenienti da Borgetto di ucciderlo mentre stava conversando in piazza. Era il 29 maggio del 1920. Tutti a San Giuseppe Jato compresero subito il messaggio e rimasero in silenzio. Solo quando l’associazione criminale venne sgominata – in seguito agli arresti comandati nel 1926 dal prefetto Mori – i primi testimoni raccontarono ai giudici il sacrificio solitario di un umile eroe.